Il Recovery Fund secondo i sindaci dell'ANCI: le proposte al Governo

Il Recovery Fund secondo i sindaci dell'ANCI: le proposte al Governo

Periferie, mobilità, scuola e riforma della Pubblica amministrazione. Ruota intorno a queste priorità il lavoro dei sindaci sui progetti da presentare al governo per la costruzione del Recovery Plan.
Le proposte dei sindaci partono da due presupposti: bisogna concentrarsi su pochi filoni il più possibile comuni, evitando elenchi sterminati di microinterventi chiamati a soddisfare con i fondi europei le esigenze localistiche, e accompagnare il tutto con una serie di proposte di riforma per mettere la Pa locale nelle condizioni di saper spendere davvero le risorse. Perché il primo rischio avvertito dagli amministratori, anche se il tema resta sottotraccia perché non incrocia l’ enfasi sulle opportunità aperte dagli aiuti comunitari, è quello di perdere il treno non per assenza di soldi o di progetti, ma delle condizioni per realizzarli nei tempi necessari.
Nasce da questi presupposti il piano «Città-Italia» su cui sta lavorando l’ Anci in queste settimane. Il piano in via di definizione, articolato in 10 «azioni di sistema per il rilancio» che i sindaci chiedono di finanziare con il 10% della Recovery and Resilience Facility (poco più di 20 miliardi), parte dalle città metropolitane ma guarda a tutti i Comuni e alle aree interne, interessate anche da altri dossier che viaggiano in parallelo al Recovery come il progetto di rete unica per la banda ultralarga. Proprio il potenziamento delle reti digitali con l’ obiettivo di superare un isolamento tecnologico ritenuto ormai «ingiustificabile» di molte aree del Paese è una delle azioni chiave su cui lavorano i sindaci, anche con l’ obiettivo di attuare un piano per la diffusione e la condivisione dei big data pubblici che le amministrazioni gestiscono in quantità enorme ma che restano confinati in bolle locali. L’ altro fil rouge che collega le esigenze dei grandi centri e dei territori è quello della mobilità leggera, con un programma di interventi infrastrutturali che aiuti a ripensare i sistemi di trasporto messi spesso a dura prova anche dalla quotidianità che ha preceduto la pandemia.
In questo filone rientrano anche le proposte sull’ edilizia verde, che con l’ efficientamento energetico è chiamata a tagliare del 40% l’ emissione di gas serra entro il 2050, e il piano di investimenti per il riuso delle acque che attraverso gli interventi dei gestori dovrebbe dimezzare le perdite idriche negli acquedotti. Ma un occhio di riguardo dovrebbe essere riservato alla rigenerazione urbana nelle zone deboli delle città, con investimenti sulle infrastrutture materiali e sociali che secondo più di un sindaco dovrebbero portare a una riedizione in chiave allargata dell’ esperienza del «piano periferie»
Per tradurre in pratica tutto questo, però, oltre ai soldi serve capacità amministrativa. Nella sua audizione di ieri sul Recovery Plan l’ Istat è stato chiaro. Accanto a un «piano dettagliato degli interventi», ha spiegato l’ istituto di statistica che in ambito Eurostat avrà un ruolo importante nell’ esame dei piani, è importante «concepire uno o più meccanismi di valutazione ex ante ed ex post dei progetti», mettendo in campo questi meccanismi «già nelle fasi preliminari all’ implementazione degli interventi».
Proprio queste valutazioni sono mancate fin qui a tante norme italiane, che inciampano nell’ attuazione anche per la debolezza di una Pa svuotata di competenze nei lunghi anni di freno al rinnovo del personale. Per superare l’ ostacolo i sindaci chiedono l’ istituzione di una Scuola nazionale dell’ amministrazione locale, ma anche la possibilità di riaprire le porte dei comuni alle competenze tecniche indispensabili al monitoraggio e all’ esecuzione dei progetti. Anche senza aspettare i fondi Ue (fonte Sole 24Ore e ItaliaOggi)

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